L’equiparazione sociale di genere nelle arti marziali
Le arti marziali nell’ ultimo secolo, hanno cercato pur restando nella tradizione, di dimostrarsi uno strumento di innovazione, aggregazione e uguaglianza sociale.
La pratica giapponese del Seppuku (il suicidio per disonore volontario oppure ordinato) a noi noto col suo nome utilizzato nella forma orale e meno formale di Harakiri, la cui etimologia è formata dalla parola 腹 (hara), “ventre”, “addome”, e da -kiri “taglio”, poteva essere riservato sia agli uomini che alle donne.
Certo non senza differenze, gli uomini, i samurai, procedevano dalla posizione di seiza (glutei poggiati sui talloni) con un taglio al ventre (punto dell’energia e dello spirito) tagliando da sinistra a destra e dal basso verso l’alto. Ulteriori particolari su questa tradizione sono che il samurai doveva cadere con il busto in avanti come sul campo di guerra e durante il suicidio, un suo amico (curioso scegliere un amico per dare la morte) abile con la spada (un errore avrebbe causato ulteriori sofferenze) chiamato kaishakunin tagliava di netto il capo del samurai per evitare che smorfie di dolore potessero sfigurare il suo volto.
Mentre per le donne la pratica era denominata Jigai ed avveniva per mezzo del taglio dell’arteria carotidea e della vena giugulare; si poteva compiere senza il supporto del kaishakunin e per questo motivo si poteva notare un minimo sfiguramento del volto dopo la morte. Prima di commettere jigai spesso una donna si legava insieme le ginocchia per far trovare il proprio corpo in una posa dignitosa.
Successivamente l’introduzione di una divisa nella pratica delle arti marziali ha significato entrare in un Dojo, spogliarsi dei propri abiti e vestirsi tutti allo stesso modo. Pertanto, fatta eccezione per i gradi (le cinture), non solo si appiattisce il livello sociale ma si crea un livello di uguaglianza tra razze e sessi.
Così oggi, spulciando tra le varie letture marziali (la mente prima del corpo) siamo incappati in questo bellissimo libro di Ju Jutsu, pubblicazione del 1944, il cui titolo e presumibilmente obiettivo è “come apprendere il Ju Jutsu, manuale per uomini e donne”.
Il libro da una prima lettura non solo ci è apparso interessante ed innovativo per l’epoca (nel 1944 le donne non erano certo considerate uguali agli uomini) ma strizza l’occhio anche ad una certa analisi delle molestie ai danni del sesso femminile e dei contesti in cui potevano succedere, introducendo difese situazionali come ad esempio al cinema oppure nella propria abitazione.
Le arti marziali ci confermano sempre la loro efficacia e saggezza.
Abbiamo interpretato questa pubblicazione oltre che come manuale di insegnamento delle tecniche, anche come strumento innovativo di condivisione al pubblico femminile degli anni 40 di una disciplina non solo per offendere o colpire ma soprattutto per migliorare la sicurezza preparandosi ad eventuali situazioni di disagio o pericolo.
Buon allenamento agli artisti marziali uomini e donne