Combattere senza pensare, forse, è solo un’abitudine
La ricerca degli Atteggiamenti Marziali o delle abitudini giuste
ATTEGGIAMENTO : Ricerca dello stato mentale neurologico di prontezza, organizzata attraverso l’esperienza, che esercita un ’influenza direttiva o dinamica sulla risposta dell’individuo nei confronti di ogni oggetto o situazione con cui entra in contatto. Allport (1935)
ABITUDINI : Tendenza alla continuazione o ripetizione di un determinato comportamento, collegabile a fattori naturali o acquisiti e riconducibile al concetto di consuetudine o di assuefazione. Dizionario lingua italiana
Atteggiamenti e abitudini fanno quindi parte della nostra vita e la influenzano quotidianamente. Ma come si sviluppano le routine, semplici o complesse, che ogni giorno riusciamo a fare ? Sembra siano solo frutto delle abitudini o se vogliamo dell’esercizio. Il ripetere quel movimento o quella sequenza di movimenti, a quanto pare, sviluppa in noi il comportamento/movimento, cerebrale/fisico adattandolo alla necessità e diminuendo lo sforzo energetico richiesto al nostro corpo.
La ricerca scientifica
Uno studio del MIT sul comportamento dei ratti, effettuato presso il Dipartimento di scienze cognitive e del cervello, per analizzare il comportamento funzionale e l’attività celebrale di un ratto in un labirinto, ove è necessario compiere azioni per arrivare ad un premio in cioccolato, ha evidenziato che durante le prime esplorazioni il cervello del ratto lavorava a pieno regime per accumulare tutte le nuove informazioni. Ma dopo aver percorso per qualche giorno sempre lo stesso tragitto, il ratto non aveva più bisogno di grattare le pareti o di fiutare l’aria, e così l’attività cerebrale associata al grattare e all’annusare cessava.
il cervello ed il corpo si adattano all’abitudine
Il Ratto non doveva scegliere quale direzione seguire, così nel cervello i centri del processo decisionale si disattivavano. L’animale doveva solo ricordare la via più veloce per arrivare al cioccolato. Nel giro di una settimana anche le strutture cerebrali connesse alla memoria si erano spente. Il ratto aveva interiorizzato il percorso nel labirinto al punto da non doverci pensare più. Correva più veloce e il cervello lavorava di meno, in altre parole, aveva immagazzinato abitudini anche quando il resto del cervello si disattivava.
In parole più semplici, quando si incontra una routine la prima volta, il cervello lavora intensamente senza interruzione, dopo molteplici esecuzioni, quando la routine è diventata familiare, l’attività cerebrale diminuisce pur restando “l’abitudine” correttamente eseguita.
Il processo esecutivo, viene interiorizzato.
Questa interiorizzazione, nell’esperimento del ratto – correre avanti, svoltare a sinistra, mangiare il cioccolato – era eseguita ricordando e agendo in base a modelli comportamentali. In altre parole, immagazzinava abitudini anche quando il resto del cervello si disattivava.
Questo processo, in cui il cervello traduce una sequenza di azioni in una routine automatica, è noto come chunking, ovvero acquisizione di unità d’informazione, ed è alla base della formazione delle abitudini. Per la filosofia orientale è probabilmente riconducibile allo stato di MUSHIN (vedi articolo mushin)
Esistono decine – per non dire centinaia – di unità d’informazione comportamentali da cui dipendiamo ogni giorno. Alcune sono semplici: mettiamo automaticamente il dentifricio sullo spazzolino prima di infilarcelo in bocca. Altre, come vestirsi o preparare il pranzo per i figli, sono un po’ più complesse.
Ma certe unità possono essere estremamente complesse, consideriamo ad esempio la procedura per uscire in retromarcia dal garage. Appena abbiamo imparato a guidare, l’operazione richiedeva più concentrazione e il motivo è evidente: dovevamo aprire il garage e la portiera dell’auto, regolare il sedile, inserire la chiave d’accensione, girarla in senso orario, regolare lo specchietto retrovisore e quelli laterali e controllare che non ci fossero ostacoli, schiacciare il pedale del freno e della frizione, inserire la retromarcia, togliere il piede dal freno e dalla frizione, calcolare mentalmente la distanza fra il garage e la strada mantenendo allineate le
ruote e sorvegliando il traffico, valutare come le immagini riflesse negli specchietti si traducessero in distanze reali fra i paraurti, i bidoni dell’immondizia e le siepi, il tutto applicando una lieve pressione al pedale dell’acceleratore e del freno e, spesso e volentieri, chiedendo ai passeggeri di smetterla di armeggiare con la radio.
Oggi, invece, ogni volta che usciamo dal garage facciamo tutto questo praticamente senza pensarci.
La routine prende forma grazie all’abitudine.
Milioni di persone eseguono questa complicata procedura ogni mattina, senza pensarci, perché appena prendiamo le chiavi dell’auto usiamo l’abitudine immagazzinata nel cervello.
Una volta che l’abitudine si è attivata, il nostro cervello è libero di pensare ad altro, e questo spiega perché riusciamo ad accorgerci che nostro figlio ha dimenticato in casa la merenda.
Secondo gli scienziati, le abitudini si formano perché il cervello è sempre alla ricerca di modi per risparmiare energia. Se venisse lasciato ai propri meccanismi, il cervello cercherebbe di trasformare ogni routine in abitudine, perché le abitudini permettono alla nostra mente di ridurre gli sforzi.
Questo istinto è enormemente vantaggioso. Un cervello efficiente richiede meno spazio, il che a sua volta comporta una testa più piccola, e questo implica un parto più agevole e un tasso di mortalità inferiore fra neonati e puerpere. Un cervello efficiente ci permette anche di smettere di pensare
costantemente a comportamenti elementari come camminare e decidere cosa mangiare, in modo da poter dedicare le nostre energie mentali all’invenzione di lance, sistemi d’irrigazione, aeroplani e videogiochi.
Ma risparmiare energie mentali può essere pericoloso, perché se il nostro cervello si rilassasse nel momento sbagliato potrebbe sfuggirci qualcosa di importante, come ad esempio un predatore nascosto fra i cespugli o un’auto che sopraggiunge a velocità sostenuta mentre stiamo attraversando la strada o nello sport mentre viene sferrato l’attacco di un avversario dal quale dobbiamo difenderci . Così il cervello ha escogitato un sistema ingegnoso per stabilire quando lasciare che le abitudini prendano il sopravvento. Questo meccanismo si attiva all’inizio o alla fine di una certa unità d’informazione comportamentale (chunk).
il cervello stabilisce quando cedere il controllo a un’abitudine, e quale abitudine usare.
Dietro una parete divisoria, ad esempio, difficilmente un ratto sa se si trova in un labirinto che gli è familiare, magari con un gatto in agguato appena dietro la parete. Per risolvere questa incertezza il cervello compie un grosso sforzo all’inizio di un’abitudine, cercando qualcosa – un segnale – che gli offra un indizio su quale modello usare. Dietro una parete divisoria, se il ratto sente un clic familiare che fa parte delle routine standard del labirinto, sa che deve usare l’abitudine «labirinto». Se sente un miagolio sceglie un modello diverso. E al termine dell’attività, quando il ratto trova il premio, il cervello si riattiva e controlla che tutto si sia svolto secondo le aspettative.
Questo processo circolare può essere suddiviso in tre parti. Prima c’è un segnale, un interruttore che dice al nostro cervello di entrare in modalità automatica e quale abitudine usare. Poi c’è la routine, che può essere fisica, emotiva o mentale. Infine c’è la gratificazione, in base alla quale il nostro cervello decide se vale la pena di memorizzare una certa routine.
Nel corso del tempo questo circolo – segnale, routine, gratificazione – diventa sempre più automatico; segnale e gratificazione si intrecciano fra loro fino a indurre un forte senso di aspettativa e craving (tradotto letteralmente brama o desiderio insaziabile). E finalmente, che accada in un freddo laboratorio del MIT, nel garage di casa vostra o nel Dojo in cui vi allenate, nasce un’abitudine.
funziona così anche nelle arti marziali
Abbiamo imparato come si innesca l’abitudine, l’aspettativa e il craving. Servono tre fasi :
Segnale – Spiegare bene esercizi e tecniche, con gentilezza e pazienza, con educazione e calma, ricordandovi che la fase finale di un’abitudine è la gratificazione, senza la quale non si innesca nessun meccanismo MUSHIN. Provatelo, quando siete allievi, se il vostro impegno è massimo ma ricevete un trattamento arrogante da parte dell’insegnante, magari insulti, parolacce o addirittura bestemmie, credete possa essere un segnale positivo al vostro oppure al loro impegno ? Se insegnate, cercate sempre di chiudere una lezione con un segnale positivo. Se siete allievi, chiedete un piccolo segnale al vostro allenatore su almeno una cosa da voi correttamente eseguita, perché vi meritate la vostra evoluzione, diversamente il mondo è grande e potete crearvi altrove il vostro percorso e le vostre abitudini.
Routine – allenatevi, quanto più possibile e con persone che hanno diversi punti di vista e magari diversi stili di combattimento. Ripetete quei movimenti che vi occorrono per far diventare il vostro gesto di “combattimento”, “difesa” o “attacco” un’abitudine. Fatela diventare una pratica che non vi richiede una pesante attività celebrale ma vi porta all’esecuzione di una tecnica, senza pensare. Fate in modo che si possano creare più schemi di difesa senza soffermarvi al superficiale “ma questo non fa parte del nostro stile” o “questo nel nostro stile è diverso“, altrimenti sarete dei bravi topi da laboratorio, capaci di mangiare il cioccolato servito, ma il primo gatto che incontrerete che vi cambierà lo schema vi farà diventare il loro giocattolo preferito. Siate come dicono in diversi stili “open mind” anche nelle routine da apprendere, ma non solo a parole, fatelo davvero, con i fatti, rispettando anche chi ha esperienze diverse dalle vostre e non per questo da denigrare.
Gratificazione – Funziona così ! E’ necessario per metabolizzare una routine una gratificazione oggettiva, che possa scolpire in modo positivo l’abitudine nei vostri allievi. Che sia una forma, una proiezione o una percussione non ha importanza, tutti hanno bisogno di segnali, routine e infine gratificazione. Chiaro è che la gratificazione non posso darmela da solo, se mi racconto di essere capace a tirare le tecniche di gambe e mi dico quanto sono bravo ma nei semplici calci circolari l’anca resta indietro, il piede d’appoggio non gira e la guardia si abbassa, avrò anche creato la mia abitudine, peccato che è sbagliata e si torna all’esempio del ratto che sa solo mangiare cioccolato.
Infine, se anche non credete alla scientificità delle abitudini sopra esposta, dovreste comunque ricordare che :
- se siete insegnanti, gli allievi sono la cosa più preziosa che avete, quindi trattateli con rispetto;
- se siete allievi, voi stessi siete la cosa più preziosa che avete, fatevi trattare con rispetto ed esigete i vostri miglioramenti, MA SE NON ANDATE AGLI ALLENAMENTI non avrete segnali, routine e probabilmente nemmeno gratificazioni 🙂
Buon allenamento !